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Alberto Bolognesi

Sara Canali intervista Alberto Bolognesi.

Quella di Alberto Bolognesi con la montagna è una storia d’amore solida come il ghiaccio. Nato a Torino ma cresciuto a Novalesa, la sua infanzia trascorre tra alpeggi e tre ristoranti di montagna gestiti da nonna Mariuccia e le due sorelle, temprate dall’aria di alta quota e con la stessa scorza del bisnonno, loro padre, impegnato nella pratica di prelevare il ghiaccio dalle montagne per portarlo a Torino nelle ghiacciaie.

Lo zaino pieno di scorte caricato in spalla anche a lui, che a otto anni percorreva quella vecchia strada che portava dal paese al ristorante della zia, su alla Ferrera. Qualche chilometro per poi ricevere l’ambito premio: “Quello era un momento stupendo”, racconta.

Il mio premio, una volta in cima, era un piatto di spaghetti al pomodoro con una foglia basilico e un Mars. Buonissimo!

Quei suoi ricordi di bambino sono ancora oggi momenti felici dove l’innocenza permetteva di non giudicare e vivere appieno il presente. E quegli attimi hanno ancora oggi il volto della nonna, la prima a spingerlo in montagna ad esplorare, a raggiungere gli alpeggi di famiglia dove con lei capitava di addormentarsi sui pagliai.

Erano terreni aspri, esposti. Per avanzare serviva mettersi a “quattro zampe” facendo molta attenzione. Perché la montagna, Alberto l’ha capito subito, non permette distrazioni. Si fa amare, sì, ma per farlo la si deve sempre un po’ temere imparando a conoscerla senza fretta. Il primo colpo di fulmine è stata l’arrampicata, intervallata a volte dalla pesca nei laghi alpini. Corda e moschettone, rinvii e imbrago diventano i suoi compagni di avventura.

Ho iniziato ad arrampicare seriamente verso i 17 anni, poi ho fatto il salto di qualità. È successo dopo la maturità quando mi sono iscritto all’ISEF di Torino e ho conosciuto altri climbers. Ho capito che potevo dire la mia in quello sport e sono diventato un atleta, tanto da gareggiare in Coppa Italia e Coppa del Mondo.

Alberto non è mai stato leggero, la sua costituzione massiccia lo rendeva diverso dagli altri compagni di corda. A lungo andare la sola scalata cominciava a diventare stretta.

Mi è sempre piaciuto andare in giro per le montagne, ho imparato a sciare che avevo 6 anni. Ricordo ancora che la prima volta, misi ai piedi delle assi di acciaio che mio padre dovette tagliare perché troppo lunghe per me. La mia vita di atleta però mi aveva fatto rinunciare a questo sport perché mi avrebbe fatto ingrossare le gambe e non andava bene per la performance.

Otto anni senza sciare, prima di entrare nel gruppo sportivo dell’esercito, a la Thuile, dove è obbligato a fare gare di sci. Qui scatta la seconda scintilla e insieme la passione.

Insieme all’amore per lo sci mi si è innescata la voglia di diventare guida alpina. Ho fatto la selezione nel 1997 per diventare prima aspirante e poi prendere definitivamente il titolo nel 2003.

Tutto quello che avviene dopo è storia recente, fatta di tantissime vie aperte, di 4.000 conquistati, di esplorazioni e viaggi dall’altra parte del mondo. Oggi Alberto Bolognesi è presidente delle Guide Alpine del Piemonte, fresco di nomina, ma nel suo andare in montagna ha ancora l’animo del bambino che sa emozionarsi.

Essere guida vuol dire portare a in montagna qualcun altro. È lavoro, sì, ma anche tanta condivisione.

Sono sempre andato da solo in montagna, come se si trattasse di una questione privata. Poi la vita mi ha portato a volerla condividere, grazie al mio lavoro. E ammetto che cambia tantissimo: da solo conosco perfettamente le mie capacità e so fino a dove spingere. Portando la gente devo capire molto bene chi ho con me. Quando sei in cima non hai finito: la discesa è la parte più pericolosa. Prendersi delle responsabilità con le persone che accompagni diventa un atto impegnativo soprattutto dal punto di vista psicologico. Ma quello che ritorna è impagabile.

Vedere l’emozione degli altri è un qualcosa di meraviglioso. Ogni salita ti ricorda e ti regala qualcosa. Ed è incredibile come riesca ad emozionarmi sempre e ancora.

Ascolta la storia

Sara Canali
Le montagne non si muovono, ma se le racconti, arrivano ovunque in un sussurro. Questo credo sia il potere delle storie ed è proprio questa convinzione che mi ha portata a dedicare la mia vita alle parole scritte. Nata in provincia, cresciuta tra Italia e Francia, sono approdata in città, a Milano, dove vivo tutt'ora e da qui lavoro come giornalista freelance collaborando con alcune riviste nazionali generaliste (come Vanity Fair, GQ, Marie Claire) e altre più verticali (come Outdoor Magazine e Race Ski Magazine). Appassionata di teatro, buon cibo e sport, fatico a stare seduta e mi sento in prigione se non posso stare all'aria aperta almeno un'ora al giorno.

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