Shop
Menu Close
Menu

Colori Vivi

Quello dell’incontro tra Ambin e la Sartoria Colori Vivi è una storia che sembrava già essere stata scritta. Come a dire che i due cammini, prima poi, si sarebbero inevitabilmente incrociati, esattamente come la trama di un filato. A settembre 2020, nell’ambito di un meeting sull’impresa ibrida tra profit e no profit, le due realtà, che hanno messo al centro della propria storia il benessere del territorio cui appartengono, decidono di iniziare un percorso insieme e dopo qualche mese il marchio di sci affida la produzione delle sue magliette alla sartoria di Torino.

A conquistare i due fondatori di Ambin è la storia che Colori Vivi racconta e che inizia con la decisione presa da Articolo10 Onlus: fondare a Torino un’impresa con finalità sociali per aiutare concretamente le donne migranti a inserirsi al meglio nella società dando loro un lavoro e insieme un’esperienza di condivisione.

«Articolo 10 è una Onlus nata nel 2013 che si occupa di inserimento di donne e migranti che non hanno grandi possibilità e che restano fuori dal sistema di accoglienza», racconta Barbara Spezini, amministratore unico di Colori Vivi, nonché direttrice di Articolo10 Onlus. Da gennaio 2017 nasce a Torino un laboratorio sartoriale per offrire una professione concreta e qualificata che consenta alle donne di diventare autonome e capaci di scegliere il proprio futuro. Inizialmente vi erano impiegate quattro donne supportate da alcuni stilisti, sarte e modelliste esperte oltre ad altri volontari in vari ruoli.

Nel tempo sono state molte le persone passate da questo luogo e che ne hanno respirato i profumi e accarezzato i tessuti facendo scorrere mani piene di storie su cotoni e sete. Ognuna di loro ha lasciato qualcosa, un contributo, un’idea, un entusiasmo che hanno fatto di questo laboratorio sartoriale un “unicum” nell’Italia.

Barbara, cos’è Colori Vivi?

Si tratta di una sartoria, un luogo che può generare bellezza. Un luogo che cura e ci dà la possibilità di essere insieme a queste donne in un programma attivo e che permette loro di avere un lavoro. È un luogo dove si può imparare, esattamente come quando da noi si “andava a bottega”. A maggio 2020 la sartoria si è trasformata in impresa sociale, capace di auto sostenersi attraverso le proprie collezioni e diffondere gli ideali ed il modello di integrazione perseguiti da Articolo10.

Oggi la sartoria realizza accessori e abbigliamento femminile.

Che tipo di tessuti utilizzate?

Alcuni li acquistiamo, altri ci vengono regalati perché sono quei fine pezza che altrimenti verrebbero bruciati. Riusciamo ad avere accesso a prodotti di altissima gamma: producendo capi unici. Non abbiamo bisogno di grandissime quantità di materie prime e spesso bastano gli scampoli di scarto di brand di lusso per dare vita a qualcosa di davvero esclusivo.

Come siete organizzati all’interno?

Ci appoggiamo all’esperienza di diversi stilisti, oltre che alla consulenza di Alessandra Montanaro, Coordinatrice del Corso di Fashion Design dello IED di Torino. La modellista al momento è esterna e poi abbiamo le donne che lavorano operativamente alla realizzazione dei capi, persone meravigliose che, con le loro storie, arrivano nel nostro Paese alla ricerca di un’integrazione per una vita migliore. Lo show room è in via Parini 9 e rappresenta il nostro core business, ma ci occupiamo anche di B2B come nel caso di Ambin, con cui decidiamo insieme il progetto da realizzare determinando il prezzo.

Cosa ha di diverso questo laboratorio sartoriale?

Il suo valore sociale, il fatto che qui il tempo ha un altro valore. Chi si rivolge a noi sa che deve mettersi in un’ottica nuova sa di entrare in contatto con un mondo diverso rispetto alla frenesia della società occidentale e sa anche che ogni prodotto che verrà realizzato non sarà un freddo manufatto, ma qualcosa frutto di un lavoro di condivisione, di ricerca e di dedizione da parte di chi, attraverso questo lavoro, sta trovando il modo di dire al mondo “io esisto”.

Colori Vivi nasce da una costola di Articolo10. Ci dici qualcosa di più di questa Onlus?

È nata nel 2013 e fin da subito si è occupata dell’inserimento di donne e famiglie di migranti nella società. Ho lavorato a lungo in questo ambiente, rendendomi conto della fragilità del sistema di accoglienza italiano, che era buono, ma arrivava fino a un certo punto. Infatti, dall’ottenimento del permesso di soggiorno in poi, lo Stato ti considera come un cittadino italiano e di conseguenza ti devi arrangiare come se lo fossi davvero, con ovviamente meno possibilità e, nella maggior parte dei casi, senza un background culturale in grado di farti capire molto delle dinamiche sociali. Così insieme ad alcuni amici decido di fondare questa associazione libera. Entrando in un settore dove non c’era niente abbiamo creato un servizio e lo stesso comune ha cominciato a segnalarci delle donne che potevano aver bisogno di noi. Ovviamente il modo migliore per rendere una persona autonoma è darle un lavoro: non potevamo pensare di trasformare tutte le migranti in colf. Così ci è venuta questa folle idea di dare vita ad una Sartoria…ed eccoci qui!

Qual è invece la tua storia Barbara?

Oggi sono un’educatrice professionale, laureata in scienza dell’educazione, ma in una vita precedente ero un’informatica con un lavoro fisso in Italgas. Poi la vita, si sa, ha percorsi strani e, quando a 30 anni mi han detto che non avrei potuto avere figli, ho mollato tutto, mi sono iscritta in Università decidendo di inseguire i miei sogni di bambina. Mi sono offerta come volontaria alla fondazione Abio e ho fatto la mie prime esperienze fino a diventare coordinatrice dei volontari. Ho capito che sarebbe stata la mia vita, soprattutto quando il mio intervento è riuscito a salvare due ragazze dalla strada e da un futuro nero.

Cosa ti ha conquistato di queste donne che arrivano da Paesi così lontani?

Parlare di migranti è qualcosa di assolutamente restrittivo. Ogni nazionalità ha delle peculiarità diverse e un approccio al lavoro, ai figli, alla famiglia strettamente legato alle proprie origini. Di tutte però mi hanno colpito le abilità pazzesche, la generosità, la lealtà e la necessità di autonomia. Ho fatto di tutto per non mandarle per strada e, quando ho capito che il problema poteva essere quello dell’inserimento nel mondo del lavoro, ho realizzato che questa possibilità avremmo potuto crearla noi.

Cosa offrite come Articolo10?

Collaboriamo con una rete di psicologi e di avvocati. Abbiamo attivato uno sportello dove avviene l’analisi del bisogno cui segue un accompagnamento socio educativo che spazia dal “light” al livello “advanced” attraverso il quale seguiamo l’assistito a 360 gradi. Oggi seguiamo 18 famiglie nel livello advanced, il doppio su livelli light mentre gli accessi allo sportello sono circa di 200 nuovi utenti all’anno.

Parlaci ancora della Sartoria: come funziona il lavoro di sartoria?

Facciamo un campionario in tutte le varianti e taglie possibili, i clienti lo provano e possono decidere in che tessuto realizzarlo. Entro due settimane consegniamo i capi di abbigliamento. Non si spreca tessuto e si lavora su misura. Abbiamo uno spazio di circa 200 mq su due piani che in origine ospitava una sartoria di divise militari durante la guerra. Abbiamo acquistato i macchinari grazie alla donazione di Chiesa Mormona e questo è diventato il nostro luogo dove lavorare insieme e produrre qualcosa anche per il nostro territorio.

Come vedi il sodalizio con Ambin?

Come l’incontro di due realtà che amano il proprio territorio e vogliono fare qualcosa di più per valorizzarlo. Quando ci hanno chiesto di produrre delle magliette con il loro logo, abbiamo scelto insieme taglie, colori e tessuti e da parte loro Alberto e Alessio hanno accettato di pagare qualcosa in più rispetto a una normale produzione sapendo che i fondi sarebbero stati necessari per tenere vivo tutto questo che è molto più di un “fare magliette”.

Ascolta la storia

Tutti i podcast Ambin

Sfoglia la galleria fotografica

Share This

Copy Link to Clipboard

Copy