Shop
Menu Close
Menu

Svalbard. Chi ha paura dell’orso?

Sara Canali intervista Alberto Bolognesi.

Dieci giorni alle isole Svalbard, tra ghiacciai, sci, motoslitte e orsi polari. Il racconto di una meta incredibile dove tutto è bianco.

Se c’è una cosa che ho imparato da questa vita e dalla mia voglia di esplorare è che quando raggiungi un limite vuoi sempre fare un passo in più. È arrivata così la decisione di partire per le Isole Svalbard, esattamente quando siamo tornati dalla Groenlandia. Come ho raccontato, alla fine di un viaggio c’è sempre qualcuno che alza la mano e sposta l’asticella. E questa volta ha deciso di metterla più in alto, ancora più su, a sfiorare il Polo Nord.

Questo arcipelago rappresenta la parte più settentrionale della Norvegia, nonché le terre abitate più a nord del pianeta Terra. Sono distese di ghiaccio, in ogni stagione. Solo d’estate capita di vedere della timida erbetta sbucare dove il sole prova a scalfire il manto della neve perenne, ma per il resto è tutto bianco. Come l’orso polare. Qui ce ne sono tantissimi: si dice che sulle isole ci siano 2000 persone e 5000 orsi.

Belle, selvagge, ricche di animali, in questi posti si capisce quanto l’uomo sia solo un ospite sulla Terra. Deve combattere per mantenere saldo il suo posto, deve girare armato se non vuole trovarsi ad affrontare qualche situazione più grande di lui. Qui l’uomo torna preda, non più carnefice e mostra la sua debolezza di essere vivente che di aggressivo ha solo la parola.

Noi per fortuna l’orso non lo abbiamo visto durante i 10 giorni che ci hanno portati ad andare su e giù per i ghiacciai. Durante il mio periodo militare quando ero atleta di biathlon ho imparato a sparare e questo mi dava qualche piccola sicurezza in più. Anche se durante gli allenamenti non ti insegnano la gestione della paura, solo a prendere la mira.

Era giugno e il nostro gruppo era ben assortito e affiatato, avendo già vissuto assieme diverse avventure tra cui, appunto, la Groenlandia. Per organizzare il tutto ci appoggiammo a un ragazzo italiano che viveva lì da una quindicina di anni e che affittava motoslitte. Lui conosceva bene i ghiacciai e ci ha insegnato che la motoslitta diventa il tuo mezzo di trasporto, ma anche quello di salvataggio: non bisogna mai spegnerla ma essere pronti a saltare in sella in caso di pericolo imminente. L’orso, a dispetto della stazza, è un animale molto veloce, si mimetizza con la neve e salta sulle prede.

Eravamo prede, questa la sensazione quando ci alzavamo la mattina e inforcavamo i nostri mezzi. 10 persone e 12 motoslitte che venivano usate tutti i giorni per andare agli attacchi delle salite. Il fratello del nostro contatto era una guida alpina: avevo chiesto a lui un aiuto per organizzare le nostre uscite, ma c’era troppo da fare e da vedere e la scelta alla fine è andata a sensazione: “voglio arrivare su quella cima, quella, quella e quella”, dissi. Non ci sono nomi per le salite alle Svalbard, ce li inventavamo una volta conquistate.

Nei fiordi davanti all’albergo vedevamo le balene, sulla terra ferma volpi artiche, foche e impronta dell’orso. In una situazione normale, alle Svalbard ci vai per vedere tutto questo. Noi volevamo anche viverlo, scoprire quelle montagne levigate, limate dal ghiaccio, per poi ridiscendere su conformazioni che sembravano dei grossi fiumi, valli glaciali lisciate dagli agenti atmosferici. Le attraversavamo con le motoslitte e ci sembrava una cosa bellissima, diversa, irripetibile. Nei lunghi tragitti a motore incontravamo renne e i caribù delle Svalbard.

Sciare qui è davvero difficile: c’è molto vento, e la neve è sempre dura e poco uniforme. Solo dopo i primi giorni ho capito come muovermi, sfruttando gli accumuli e spostandomi sottovento facendo attenzione a non provocare valanghe. E i miei compagni di avventura dietro di me, fiduciosi di sapere che li avrei portati in cima prima e a casa poi.

C’è qualcosa di incredibilmente attraente in questi posti così lontani dal comfort cui siamo abituati. Sono luoghi che mettono alla prova mente e spirito. Sono situazioni dove non hai scuse e non puoi inventarne e per questo diventano vere e ti entrano sotto pelle come tatuaggi invisibili da portare addosso per sempre, in ogni altra tua avventura. Vorrei tornarci, la prossima volta in un campo tendato a dormire sotto le stelle. Dicono che da lì appaiano più vicine, da nuotarci dentro.

Ascolta la storia

Tutti i podcast Ambin
Sara Canali
Le montagne non si muovono, ma se le racconti, arrivano ovunque in un sussurro. Questo credo sia il potere delle storie ed è proprio questa convinzione che mi ha portata a dedicare la mia vita alle parole scritte. Nata in provincia, cresciuta tra Italia e Francia, sono approdata in città, a Milano, dove vivo tutt'ora e da qui lavoro come giornalista freelance collaborando con alcune riviste nazionali generaliste (come Vanity Fair, GQ, Marie Claire) e altre più verticali (come Outdoor Magazine e Race Ski Magazine). Appassionata di teatro, buon cibo e sport, fatico a stare seduta e mi sento in prigione se non posso stare all'aria aperta almeno un'ora al giorno.

Share This

Copy Link to Clipboard

Copy